{"id":430,"date":"2020-12-30T16:30:46","date_gmt":"2020-12-30T15:30:46","guid":{"rendered":"https:\/\/eticadigitale.org\/?p=430"},"modified":"2022-11-20T18:10:23","modified_gmt":"2022-11-20T17:10:23","slug":"2020-odissea-nello-spaccio-di-dati","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/eticadigitale.org\/2020\/12\/30\/2020-odissea-nello-spaccio-di-dati\/","title":{"rendered":"2020: Odissea nello spaccio (di dati)"},"content":{"rendered":"\n

Nove mesi fa, quando inizi\u00f2 la pandemia e ci trovammo tutti reclusi in casa, Etica Digitale scrisse un articolo<\/a> in collaborazione con LeAlternative<\/a> parlando di strumenti etici per lavoro e scuola da remoto, consci del fatto che in questo periodo le persone si sarebbero trovate a passare gran parte della giornata davanti al computer. Al tempo erano gi\u00e0 molte le universit\u00e0 e le aziende che avevano adottato strumenti come Zoom, Microsoft Teams o Google Meet, tutti non rispettosi della privacy \u2013 Zoom in testa mentre veniva travolto da uno scandalo dopo l\u2019altro.<\/p>\n\n\n\n

A maggio, proprio all\u2019apice di questi scandali, documentammo<\/a> una segnalazione ricevuta riguardante il CISIA \u2013 l\u2019organo che si occupa di gran parte dei test d\u2019ingresso universitari \u2013 e di come stesse preparando i suoi test per l\u2019appunto su Zoom, richiedendo velocit\u00e0 di connessione che non tutti possono permettersi o che, semplicemente, non possono fisicamente raggiungere a causa di infrastrutture vecchie e fatiscenti, se non spesso completamente mancanti. Ricordiamo infatti che l’obbligo di connessione, tanto meno in banda larga, non \u00e8 ancora scritto nella nostra Costituzione.<\/p>\n\n\n\n

Infine, a luglio, le segnalazioni si moltiplicarono, passando dall\u2019Accademia di Brera sino a La Sapienza di Roma, dacch\u00e9 decidemmo di ritrarre in toto<\/a> la situazione italiana. Anche allora, come agli inizi di marzo, studenti e insegnanti furono costretti a scegliere tra il diritto allo studio e quello alla privacy, dove paradossalmente l\u2019unica preside che ascolt\u00f2 il Garante e che si rifiut\u00f2 di usare la suite Google fu linciata sia a livello mediatico che legalmente dai genitori degli alunni, come dall’assessore all’istruzione comunale. E proprio da quel luglio vogliamo riprendere la narrazione.<\/p>\n\n\n\n

Qualche giorno prima dell\u2019ultimo articolo, il professore Angelo Raffaele Meo invi\u00f2 una lettera aperta alla Ministra dell\u2019Istruzione Azzolina, richiedendo di adottare software liberi nella Pubblica Amministrazione al posto di quelli proprietari. Un software libero \u00e8 un programma che, tra le sue propriet\u00e0, dice da cima a fondo come funziona perch\u00e9 l\u2019accesso al suo codice \u00e8 \u2013 per l\u2019appunto \u2013 libero. Se raccoglie dati, lo sapremo. Se \u00e8 scritto bene, lo sapremo. E via dicendo. Al contrario, programmi come Microsoft Teams celano il loro funzionamento e raccolgono un quantitativo immane di dati non necessari, che usano per tramutare in profitto. Un\u2019ulteriore richiesta del professore fu quella di utilizzare formati standard per i documenti, ovvero che un documento debba poter essere aperto da pi\u00f9 programmi senza ostacoli di alcuna natura: questo \u00e8 fondamentale per garantire la libert\u00e0 agli individui di scegliere il programma che preferiscono senza avere problemi di incompatibilit\u00e0. Altra mancanza dei prodotti Microsoft, al fine di rendere i propri utenti dipendenti dai loro strumenti \u2013 in primis Windows.<\/p>\n\n\n\n

La lettera, neanche a dirlo, \u00e8 caduta nel vuoto: negli stessi giorni infatti la Ministra Azzolina aveva ultimato il passaggio di 30mila caselle della scuola a Microsoft Teams<\/a>, vendendola come un\u2019azione positiva perch\u00e9 \u201cavrete una casella molto pi\u00f9 capiente\u201d con \u201cla possibilit\u00e0 di utilizzare tutto il set di ulteriori applicazioni previste dalla Suite Office 365, in particolare per quanto riguarda la collaborazione tra uffici\u201d. In altre parole, il ministero si stava complimentando di aver reso l\u2019ecosistema scolastico ancora pi\u00f9 dipendente da un monopolio informatico, noto per mercificare i comportamenti delle persone (in questo caso del personale scolastico).
Accurata l\u2019osservazione di Wikimedia Italia, che fece notare come la Germania dall\u2019anno scorso avesse rimosso la sopracitata Suite Office 365 di Microsoft dalla Pubblica Amministrazione optando per strumenti liberi, mentre noi, con un anno in ritardo affondavamo ulteriormente nella sua rete.<\/p>\n\n\n\n

Sempre a luglio risale l\u2019imposizione di strumenti Microsoft a Bolzano<\/a>. Quello che all\u2019apparenza pu\u00f2 sembrare \u201csolo\u201d l\u2019ennesimo declino dettato da un\u2019arretratezza culturale e una visione aziendale della scuola \u00e8 in verit\u00e0 molto peggio: per quindici anni infatti, Bolzano \u00e8 stata citt\u00e0 d’avanguardia del software libero grazie ai ragazzi del progetto FUSS (Free Upgrade for a digitally Sustainable School<\/em>, Sistema Libero per una Scuola digitalmente Sostenibile). Il FUSS forniva agli studenti della provincia di Bolzano (e ad altri due licei italiani: uno a Jesolo e uno a Firenze) degli strumenti liberi e indipendenti da qualsivoglia azienda, ma dopo 15 anni l’assessore provinciale alla scuola e cultura italiana ha optato a ottobre 2019 per passare a Microsoft<\/a>. A poco sono servite le proteste del consigliere Diego Nicolini, che fece notare come la citt\u00e0, oltre ad aver mantenuto la sua indipendenza, aveva risparmiato quasi \u20ac2.000.000 grazie al FUSS: \u201cQuesto investimento ha creato una ricchezza per la nostra Provincia che rimane al territorio e ai cittadini. Se questi soldi si fossero spesi acquistando delle licenze non avremmo prodotto valore per il nostro territorio\u201d. Inutili anche le parole del Ministro dell\u2019Innovazione Paola Pisano<\/a> che lo ritenne un \u201cesempio da seguire e non da terminare\u201d. Passato qualche mese, e qualche altro tentativo<\/a> del consigliere Nicolini che tir\u00f2 in ballo anche la capacit\u00e0 del software libero di ridurre rifiuti tecnologici e di diminuire le diseguaglianze tra situazioni economiche differenti, lo schiaffo finale: ad aprile, a un mese dalla pandemia, nonch\u00e9 quando strumenti come quelli del FUSS erano pi\u00f9 che mai richiesti, l\u2019assessorato alla cultura di lingua italiana ne recise le gambe decidendo di chiudere definitivamente il progetto<\/a>. Se non fosse stato per l\u2019iniziativa Repubblica Digitale che ha tenuto in vita<\/a> il FUSS facendolo entrare in Commissione Europea, a quest\u2019ora il progetto non esisterebbe pi\u00f9.<\/p>\n\n\n\n

In questi mesi, pi\u00f9 docenti hanno manifestato il proprio dissenso verso la posizione della scuola, a partire dalla professoressa di filosofia dell\u2019Universit\u00e0 di Pisa Maria Chiara Pievatolo sino al docente di matematica Walter Vannini, pi\u00f9 conosciuto per il suo podcast DataKnightmare. Prima di comprendere le loro critiche per\u00f2, bisogna chiudere in un ultimo atto il mese di luglio: la sentenza Schrems II.<\/p>\n\n\n\n

Schrems II<\/strong><\/h5>\n\n\n\n

Con la sentenza Schrems II del 16 luglio 2020, la Corte di Giustizia Europea dichiara l’illiceit\u00e0 dei trasferimenti di dati negli Stati Uniti. In poche parole, la sentenza dice che si possono trasferire dati in paesi fuori dall’Unione solo e soltanto se quei paesi garantiscono una protezione dei dati equivalente alla nostra (il GDPR). Questo esclude gli Stati Uniti, in quanto alcune loro leggi permettono alle agenzie governative di accedere ai dati senza un mandato del giudice, rendendo la sorveglianza di massa una realt\u00e0. Come conseguenza, tutte le soluzioni giuridiche per trasferire dati negli USA sono, ad oggi, illegittime in assenza di misure di garanzia ulteriori. Tra le altre, \u00e8 stato invalidato  il Privacy Shield, ovvero l\u2019accordo che escludeva gli Stati Uniti dal normale trattamento dei dati e che permetteva all’azienda statunitense di Tizio di importare dati senza porsi particolari problemi. Per quanto riguarda le misure di garanzie ulteriori, sono possibili, ma ad oggi \u00e8 molto complesso, dal punto di vista giuridico, individuare in modo preciso quali siano e, dal punto di vista tecnico, implementarle. Quindi, \u00e8 bene diffidare di tutti i trasferimenti di dati verso gli USA.<\/p>\n\n\n\n

Cosa cambia quindi per la scuola italiana? Cambia che – in forza del GDPR – le scuole devono essere in grado di dimostrare la sicurezza dei dati degli studenti e molte big tech (Google in primis, ma anche Microsoft) hanno sede legale e processano dati negli USA, dove \u00e8 molto difficile, se non impossibile, assicurare un livello di sicurezza equivalente a quello europeo. Nonostante queste aziende abbiano delle sedi anche in paesi come l’Irlanda e i dati vengano inviati in queste ultime, \u00e8 responsabilit\u00e0 della scuola assicurarsi che queste sedi non li rigirino poi in America. Operazioni simili, per intenderci, non vengono fatte neanche dalle grandi aziende; pensare che una scuola possa farle \u00e8 oltre i limiti dell’assurdo. Detto in parole povere, le scuole che utilizzano questi strumenti stanno infrangendo la legge. Ovvero, pressoch\u00e9 tutta Italia.<\/p>\n\n\n\n

Ad agosto la docente Pievatolo sottoline\u00f2 come, ad un mese dalla sentenza, il Ministero dell\u2019Istruzione continuasse a suggerire Microsoft e Google<\/a> come strumenti per la didattica, senza il bench\u00e9 minimo accenno a piattaforme libere (come BigBlueButton). Ad oggi, quattro mesi dalla sua denuncia, la situazione \u00e8 rimasta invariata.<\/p>\n\n\n\n

\u00c8 di ottobre invece la lettera aperta<\/a> di Vannini indirizzata ai presidi, che ribadisce ancora una volta come non sia legale utilizzare certi strumenti e che far premere a qualche genitore \u201cAcconsento\u201d non li esuli in automatico da ogni responsabilit\u00e0 (n\u00e9 renda lo strumento legale come per magia). Vannini fa anche di pi\u00f9: in quanto esponente certificato del GDPR, aggiunge un file<\/a> che qualsiasi genitore pu\u00f2 compilare e inviare ai presidi. In sintesi, il file obbliga la scuola a chiarire il perch\u00e9 vengano utilizzate piattaforme USA non in linea con le leggi europee, pena un risarcimento in caso di mancata risposta. Di queste risposte ne abbiamo ottenute un paio (per motivi di privacy ed eventuali ritorsioni sugli alunni, abbiamo omesso i nomi).<\/p>\n\n\n\n

La prima<\/a> \u00e8 di una scuola superiore di Padova dove il preside, oltre che a prendersi gioco dell\u2019alunno in questione per aver dimenticato di compilare un punto, \u00e8 convinto che la sede in Irlanda di Google li renda immuni al GDPR. La seconda<\/a> \u00e8 dell\u2019Universit\u00e0 di Milano, dove pensano la stessa cosa ma per quanto riguarda Zoom e Microsoft. Quest\u2019ultimi aggiungono inoltre che \u201cvista la natura dei dati che transita nelle piattaforme DAD, il rischio per i diritti e le libert\u00e0 degli interessati \u00e8 veramente basso per non dire inesistente\u201d e che il Ministero non abbia dato linee precise perch\u00e9 \u201cil tema \u00e8 pi\u00f9 che altro politico\u201d.<\/p>\n\n\n\n

A rincarare la dose ci pensa poi il Ministero dell\u2019Istruzione che, a dicembre, ha inviato una circolare<\/a> a tutte le scuole superiori italiane. La circolare ricorda come le assemblee di istituto siano un diritto e uno strumento fondamentale per il confronto tra i ragazzi, e che per garantirle in un periodo fragile come questo, provveder\u00e0 a fornire licenze Microsoft Teams dove poterle svolgere.<\/p>\n\n\n\n

Si potrebbe affermare a questo punto che del diritto alla privacy alle scuole e istituzioni associate non importi assolutamente nulla. Eppure, una ragazza di 13 anni \u00e8 stata sospesa<\/a> proprio per aver leso la privacy dei suoi compagni. Succede alla scuola media Nievo di Torino, dove Eva \u2013 questo il nome della ragazza \u2013 aveva deciso di protestare contro la DaD seguendo le lezioni davanti all\u2019entrata della scuola. Supponendo che il motivo sia stato la possibilit\u00e0 che i passanti potessero vedere i suoi compagni tramite il tablet, esponendoli a occhi indiscreti, la scuola dimentica un dettaglio importante: che sta usando Google.<\/p>\n\n\n\n

Infine, dato che gli scandali di Zoom non si sono placati, di recente \u00e8 stato trovato uno scambio di documenti<\/a> tra dirigenti cinesi e americani dell\u2019azienda, dove i primi chiedevano ai secondi di censurare le manifestazioni del 4 giugno in Piazza Tian An Men 1989, pena la rimozione del servizio dalla Cina. Al quale i secondi non si sono opposti. \u00c8 paradossale come un\u2019azienda che mette i suoi scrupoli economici davanti ai diritti degli esseri umani sia la stessa utilizzata da un istituto di Padova per parlare proprio di diritti umani. E sempre a Padova, c’\u00e8 chi, non accontentandosi del solo uso di Zoom, decide anche di pubblicare le proclamazioni di laurea su YouTube: succede al dipartimento di matematica Tullio Levi-Civita, che carica il video<\/a> (guardalo proteggendo la tua privacy<\/a>) e fa dirette su un’altra piattaforma non a norma di legge, incurante di condannare i laureandi a rimanere per sempre impressi sulla rete, con nome e cognome in chiaro.<\/p>\n\n\n\n

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Incontro per i diritti umani in un istituto di Padova, organizzato su Zoom. L’azienda ha dimostrato di lasciar correre certi argomenti in Cina pur di far soldi<\/figcaption><\/figure>\n\n\n\n
Conclusione<\/strong><\/h5>\n\n\n\n

Siamo davanti ad una scuola che, incurante di un diritto, forza le persone a prostituirsi per l\u2019azienda col nome pi\u00f9 scintillante in nome di un po\u2019 di spazio in pi\u00f9 nelle caselle mail \u2013 alle quali l\u2019azienda pu\u00f2 avere accesso. Una scuola che non solo permane nell\u2019immobilismo pi\u00f9 stantio da decenni, bens\u00ec che si occupa anche di tranciare accuratamente quelle gemme che da anni si impegnavano a farla fiorire. Scuola che, nonostante sia scritto nero su bianco che certe cose non si possono fare, se ne scrolla le spalle e, avvolgendosi in una spirale di parole, confida nella speranza che nessuno le capisca davvero, o che a nessuno importi. Un Ministero che per garantire un diritto, ne sacrifica un altro. E poco importa se non pu\u00f2 farlo. Una scuola che sospende un\u2019alunna per aver protestato pacificamente contro un sistema che la tiene lontana dai suoi compagni, ma che al tempo stesso acclama Greta per le proteste sul clima. Un paese di vecchi fatto per vecchi, al quale dell\u2019istruzione non importa assolutamente nulla, bench\u00e9 meno della privacy, perlomeno non se queste non garantiscano qualche voto e titolo in pi\u00f9. Le fughe di cervelli, i tagli, il disinteresse generale: tutto questo provoca rabbia, certo, ma \u00e8 paura quella che dovrebbe generare. Un paese senza cultura \u00e8 un paese senza passato e di conseguenza senza identit\u00e0. E quando queste cose miste all\u2019istruzione vengono meno, gli spettri della storia tornano a regnare. Finch\u00e9 le politiche sull\u2019istruzione saranno dettate da semplice utilitarismo perch\u00e9 \u201cl\u2019azienda X \u00e8 pi\u00f9 comoda\u201d e faranno finta che le alternative non esistano \u2013 soprattutto senza degnarle di mezzo fondo o, come il portale del Ministero, senza nominarle affatto \u2013 la situazione non potr\u00e0 che peggiorare. Certo, di tanto in tanto cambier\u00e0 il paese per il quale battere, poco importa poi se non tiene in considerazione i diritti umani, ma il succo sar\u00e0 sempre lo stesso.<\/p>\n\n\n\n

Le persone al potere stanno giocando sulla pelle di chi rappresenta il loro stesso futuro, pensando che sporcarsi la bocca con paroloni come \u201crivoluzione digitale\u201d possa cambiare magicamente le cose. Ne \u00e8 un esempio la Senatrice Mantovani che di recente, ospite alla conferenza annuale di LibreItalia, ha sciorinato termini tecnici per autocomplimentarsi dell’app IO e dell’aumento di identit\u00e0 sociali. Quello che per\u00f2 ha omesso \u00e8 che l’app IO \u00e8 stata rilasciata senza essere in linea col GDPR (ironico, considerando che all’uscita di Immuni erano tutti paranoici nonostante rispettasse davvero la privacy, ma se si parla di un bonus da 150\u20ac per pagare col bancomat e l’app invia dati fuori dall’Europa va tutto bene) e che le identit\u00e0 cartacee stanno scadendo e venendo sostituite obbligatoriamente da pi\u00f9 di cinque anni da quelle elettroniche (i cui provider hanno protocolli non pi\u00f9 sicuri in quanto vecchi o completamente assenti). Il tutto poi senza rispondere alle domande del pubblico, perch\u00e9 di fretta. Per quanto queste figure istituzionali \u2013 siano esse ministri o presidi \u2013 facciano finta di niente, la verit\u00e0 \u00e8 che ci sar\u00e0 da piangere quando il Garante inizier\u00e0 ad obbligare le scuole a passare a strumenti idonei. Perch\u00e9 in quasi un anno nessuno si \u00e8 davvero mosso per potenziare le infrastrutture, educare al digitale o prendersi quei 5 minuti per spiegare cosa sia il software libero e perch\u00e9 sia fondamentale per i diritti delle persone. Nessuno ha parlato di alternative come il FUSS o la pi\u00f9 recente iorestoacasa.work<\/a> che, grazie alla collaborazione di pi\u00f9 associazioni in Italia, ha messo in piedi server ad accesso gratuito che utilizzano per l\u2019appunto software libero.<\/p>\n\n\n\n

La situazione \u00e8 allarmante e sembra che ogni giorno ci si impegni per renderla peggiore. L\u2019apprendimento, che nella sua vera natura dovrebbe essere disinteressato, \u00e8 invece in mano a compagnie che mirano esclusivamente al profitto. Chi si ribella viene sbeffeggiato, ignorato o punito, e gli incontri per mettere in discussione un tal sistema sono ridotti a una nicchia ignorata che riesce comunque a diventare palco di autopacche sulla spalla del politico di turno, senza il bench\u00e9 minimo confronto.
\u00c8 ora che lo Stato e chi per esso si prenda le proprie responsabilit\u00e0, senza far firmare circolari inutili ai genitori per farli acconsentire sul nulla. \u00c8 ora che lo Stato, cos\u00ec affezionato al risparmio della spesa pubblica, realizzi che questi strumenti liberi fanno vincere entrambi: le proprie tasche, e la sfera privata di chi apprende. \u00c8 ora che studenti ed insegnanti si organizzino insieme per far valere i propri diritti, che capiscano di non essere soli, che associazioni come
Privacy Network<\/a> esistono e che gi\u00e0 da tempo affrontano queste battaglie tramite le loro conoscenze legali. \u00c8 ora di capire che c\u2019\u00e8 una differenza tra lo scegliere di usare Instagram nel proprio privato, ed essere obbligati a usare Teams nell\u2019ambito pubblico. \u00c8 ora, insomma, di rifiutarsi di essere merce che rappresenta l\u2019ultima ruota del carro, e di ricordarsi di essere persone. \u00c8 ora, ora, di dire basta.<\/p>\n\n\n\n

L’articolo \u00e8 stato aggiornato in data 18\/01\/21, aggiungendo le scuole fuori Bolzano di cui si occupa il FUSS, correggendo chi ha interrotto il loro operato (l’assessore, non il sindaco), e illustrando meglio nel secondo paragrafo di Schrems II perch\u00e9 le scuole non stanno rispettando il GDPR<\/em><\/p>\n\n\n\n


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