L’edizione 2019 del festival di Internazionale a Ferrara (4-5-6 ottobre) ha inaugurato i temi della tecnologia con Uscire dall’algoritmo, un evento molto particolare che ha visto coinvolti anche gli studenti del Liceo Classico Ariosto e del Liceo Scientifico Roiti di Ferrara. Particolare perché è stato un dialogare proprio tra i ragazzi, che hanno portato in scena degli sketch leggeri ma accurati sul tema dell’evento, e tre esperti con diverse visioni del problema: Chiara Montanari, ingegnere che passa per lavoro interi mesi in Antartide (in pieno whiteout) isolata dunque dalla frenesia del mondo; Francesco Morace, sociologo di Future Concept Lab per un approccio più umanistico; Maurizio Tesconi, ricercatore del Cnr, per un approccio invece più tecnico.
Iniziamo da ciò che ci ha colpito di più: il lavoro delle classi del liceo. Semplice, genuino e divertente, con i ragazzi che hanno dimostrato di saper anche giocare con i classici, adattandoli alla dipendenza quotidiana che è il cellulare. Ecco allora che Dante vaga per un “sito” oscuro, scortato da Virgilio che nell’ultimo girone trova Lucifero diventato algoritmo, con tante persone prostrate ai suoi piedi mentre sventolano like. Ecco che l’Infinito di Leopardi ripropone il telefono come “siepe che il guado esclude” (con un accompagnamento musicale dal vivo), metafora delle esperienze che ci perdiamo allo stare troppo su certi mezzi. Lo stesso messaggio ci viene poi proposto in un altro sketch dove la batteria consumata va a braccetto con le nostre energie che con essa si affievoliscono. E infine, una spiegazione di come la ricerca di un singolo libro con “Ok, Google” permetta una profilazione estesa.
La prima domanda che viene posta è se gli algoritmi siano davvero Satana. Morace inizia partendo dagli esordi della rete, spiegando che quello che si cercava non era altro che una seconda vita. Ognuno voleva essere qualcun altro (come su Second Life) o semplicemente più libero, ma oggigiorno ciò che importa è essere autentici, più se stessi. Profilare qualcuno diventa quindi una passeggiata, e più cose condividiamo, più rendiamo facile la vita all’algoritmo: Tesconi infatti cita uno studio del 2015 sui like di Facebook, dove al social bastano 10 like lasciati in giro per conoscerci quanto un collega e 300 per conoscerci di più del coniuge. Ma non è l’algoritmo diabolico in sé, commenta la Montanari, bensì l’uso che se ne fa. E d’altronde è vero, perché un algoritmo non è altro che un insieme di istruzioni da eseguire in ordine. Può quindi “tentare” nell’uso errato che se ne fa, conclude Morace, ma non è in sé il diavolo.
Si passa poi al naufragare “nell’algoritmo” (leggersi più come profilazione, che è una delle possibili cose che può fare un algoritmo). Morace cita Aristotele, secondo il quale la conoscenza deriva da ciò che ci meraviglia: se è una macchina a dirci cosa guardare, cosa fare, cosa scoprire, la meraviglia cessa di esistere. “Il piacere” dice “sta nel disegnare le mappe, non nel farci guidare”. Si può poi naufragare in un mare di troppi contenuti, spiega Tesconi, rischiando di portare alla paura del Missing Out, del perdersi le cose. Ma è bello perdersi le cose, ribadisce la Montanari, perché non siamo fatti solo di pensieri da iperstimolare, ma siamo anche carne.
Dov’è quindi il problema? Morace lo dice, siamo animali sociali, siamo dotati di neuroni specchio. Ipotizza di trovare un argine sociale, e ha ragione, ma bisogna comunque ricordarsi delle sue parole: che fin dagli albori della rete volevamo essere qualcuno, protagonisti. Possibilmente, aggiungiamo, una versione migliore di sé. Questo vuol dire che rimosso Facebook ci sarà un altro social network, e un altro, e un altro ancora. E se non sarà un social, sarà un videogioco dove “possiamo salvare il mondo”, vivere le nostre avventure virtuali, poco cambia. Rimane un problema sociale complesso.
Chiudiamo l’articolo invitando a una riflessione: se qualcosa è sbagliato (certi tipi di algoritmi), perché capire come non venirne tentati singolarmente quando si potrebbe semplicemente bandirlo? Forse non è questione di uscire dall’algoritmo, ma di non farlo esistere in primis.