Sakawa: attività illegale ghanese che combina moderne frodi via internet con i rituali della tradizione africana.
Avete presente quei siti d’incontri con profili di belle ragazze dall’entità dubbia? Che cercano “l’amore”, il “principe azzurro” e a guardarle vi chiedete cosa ci facciano esattamente su un sito del genere? Bene, è possibile che dietro a quello schermo non ci sia tanto la ragazza acqua e sapone delle foto, quanto un ghanese pronto a truffarvi. Un praticante di sakawa: di questo parla l’omonimo documentario di Ben Asamoah.
Asamoah ci avverte: non vuole che le sue riprese siano viste come gesto di condanna. Ci chiede di mettere da parte il moralista che è in noi, di comprendere che sono situazioni di vita differenti dalle nostre. E questo lo narra bene lungo il documentario, dove c’è chi cerca di mettere da parte i soldi per un passaporto con l’idea di aprire un’azienda agricola in Europa, mandare soldi alla famiglia, e infine riunirsi con loro. Come c’è al tempo stesso chi vive di questo business costruendosi vere e proprie villette, dando al massimo consigli agli altri su come truffare meglio. In alcuni casi invece il sakawa diventa l’unico modo per sostentarsi.
Il documentario parte dalle discariche africane, quelle dove finiscono i vecchi pezzi di computer che per noi sono passati di moda. Si rimedia qualche PC, qualche caricatore, qualche pezzo di ricambio, e si è pronti a partire. Talvolta si è fortunati e si rimedia un hard disk intero, contenente ancora le informazioni del vecchio proprietario che si è scordato di cancellare: foto, documenti, scorci di vita. Una miniera di informazioni.
La truffa solitamente funziona così: ci si iscrive a un sito per incontri (o su Facebook), ci si fa notare da più persone possibili, si messaggia, e infine si continua a chattare con chi se la beve. L’obiettivo ultimo è di chiedere soldi una volta che si è in confidenza, e questo succede dopo 1-2 settimane. L’estro creativo non manca: c’è chi scarica clip di ragazze da far partire nelle chiamate su Skype per dar l’idea che ci sia effettivamente una ragazza dall’altra parte (son comunque clip brevi dove poi fingono di aver problemi di linea e fan cadere la chiamata); c’è chi vende cellulari che modificano la voce per renderla femminile; e c’è chi invece il cellulare apposito non ce l’ha e… va in falsetto. L’aspetto del telefono è molto importante, perché ci spiegano che molte delle vittime vogliono semplicemente del sesso e questo porta i truffatori a dover fingere di star avendo rapporti via telefono.justify-textLa truffa solitamente funziona così: ci si iscrive a un sito per incontri (o su Facebook), ci si fa notare da più persone possibili, si messaggia, e infine si continua a chattare con chi se la beve. L’obiettivo ultimo è di chiedere soldi una volta che si è in confidenza, e questo succede dopo 1-2 settimane. L’estro creativo non manca: c’è chi scarica clip di ragazze da far partire nelle chiamate su Skype per dar l’idea che ci sia effettivamente una ragazza dall’altra parte (son comunque clip brevi dove poi fingono di aver problemi di linea e fan cadere la chiamata); c’è chi vende cellulari che modificano la voce per renderla femminile; e c’è chi invece il cellulare apposito non ce l’ha e… va in falsetto. L’aspetto del telefono è molto importante, perché ci spiegano che molte delle vittime vogliono semplicemente del sesso e questo porta i truffatori a dover fingere di star avendo rapporti via telefono.
Una cosa che colpisce è l’approccio alla religione: i santoni sembrano infatti essersi messi al passo coi tempi. Basta infatti portare un hard disk a uno di loro o la foto di un cliente per dar vita a un rituale per “spennare” la vittima. Tuttavia, non è solo la tradizione africana che emerge: seppur non con l’intento di maledire, tra le preghiere non mancano tracce di cristianesimo, dando vita quindi a una complessa miscela culturale.
In conclusione, il documentario si chiude sulle stesse discariche iniziali, tra uomini, bestiame e piccoli incendi tra la ferraglia. Una riflessione, forse, su come quello che buttiamo non sparisce magicamente nel nulla, ma grava poi sulle vite di altre persone e interi ecosistemi. Diventando anzi per loro la vita, un modo per restare a galla e che, quasi ironicamente, come un boomerang torna in faccia al primo mondo che tra quella ferraglia li ha sommersi. Con la differenza che a tornare non è tanto il boomerang, quanto giusto la punta.