La rete continua a essere dominata dallāinglese, nonostante il 75% delle persone che lo utilizzano provenga da paesi in cui l’inglese non è lingua ufficiale.
Un’inchiesta del Guardian ha rivelato come Meta e piattaforme simili stiano adottando misure sproporzionate per la moderazione dei contenuti a seconda dellla lingua utilizzata. Per esempio, nel caso del conflitto israelo-palestinese, i contenuti in arabo subiscono una moderazione più severa rispetto a quelli in ebraico, penalizzando le voci palestinesi.
La scarsa rappresentanza di diverse lingue su piattaforme come Google e YouTube, tra cui alcune molto comuni come l’hindi, il bengalese o il kiswahili, non solo riduce l’accesso a servizi online, ma mette a rischio la sopravvivenza di queste ultime, spingendo molte persone ad utilizzare lingue maggiormente supportate.
L’introduzione di modelli di intelligenza artificiale capaci di utilizzarre idiomi diversi, come ChatGPT, ha promesso soluzioni, ma con limiti evidenti. I grandi modelli linguistici multilingua trasferiscono spesso valori e preconcetti dall’inglese alle lingue meno rappresentate, amplificando le disuguaglianze culturali e linguistiche.
Per garantire che tutte le lingue abbiano pari dignità online, è necessario coinvolgere le comunità locali nello sviluppo delle tecnologie linguistiche, e non ostacolarle come invece stanno facendo X e Meta. Solo così internet potrà essere uno spazio veramente equo e accessibile.
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